Cari lettori,
queste mie riflessioni si rivolgono a coloro che vogliono sapere come difendersi dalle diffamazioni su Facebook e altri social network. Il primo aspetto da evidenziare è che offendere qualcuno online è come farlo in un luogo pubblico, ad esempio davanti a un bar o in una piazza. Si può ledere la reputazione anche delle persone decedute e in queste situazioni i prossimi congiunti possono intraprendere le azioni più opportune.

Oggi la diffamazione è molto ricorrente e quando avviene sui social viene punita con aggravante, visto che Internet consente di raggiungere una quantità indefinita di utenti. Questo reato sussiste tutte le volte che si lede la reputazione di un soggetto, assente nel momento in cui viene insultato. Quando poi l’offesa consiste nell’attribuzione di un determinato fatto la pena della reclusione è fino a due anni, mentre la multa può arrivare a 2.065,00 euro. Affinché il reato possa sussistere non è nemmeno necessario che la persona offesa venga individuata, ovvero nominata in modo esplicito. Bastano infatti anche subdole allusioni per poter agire in giudizio.

Gli insulti di carattere personale, sociale, familiare sono spesso postati in gruppi di Facebook, su Messenger, Instagram, TikTok o persino sullo stato di Whatsapp. Le forme possono essere varie: una forte critica, un’immagine sconveniente, parolacce e tutto ciò che possa danneggiare la reputazione.

Al giorno d’oggi ci si sente liberi di esprimere qualsiasi pensiero e opinione sul web, tante volte senza alcun freno, proprio perché si cerca di nascondersi dietro uno schermo. Sul punto è intervenuta la Cassazione che, con la pronuncia dello scorso 22 giugno, ha specificato come non occorrono prove certe, quali ID o IP per dimostrare le responsabilità penale di azioni diffamatorie. La condanna può quindi scattare su base indiziaria. Ecco perché invito ad essere prudenti, ad evitare comportamenti oltraggiosi e a far buon uso dei social.

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